Dal Vangelo di Giovanni 9, 1 – 41. È un brano un po’ lungo ma è come una “carezza di luce sulla cecità” di cui un po’ tutti rischiamo di esserne vittime. Gesù illumina quest’uomo i cui occhi non hanno mai visto la luce e neppure il volto di sua madre. Ne prova compassione e lo guarisce. Come prova compassione e guarisce ogni mendicante di luce e, a tutti, regala uno sguardo nuovo sulla vita e sul vivere. Uno sguardo più vero e più ricco di umanità, di cui tutti, oggi più che mai, ne abbiamo un immenso bisogno.
Il cieco guarito non riceve da Gesù nessuna spiegazione sulla sua malattia, riceve invece compassione: la compassione è un sentimento che ci rende capaci di compiere miracoli, che spalanca gli occhi e apre il cuore, genera uno sguardo nuovo e la capacità di impegnarci tutti, perché il mondo sia migliore.
Questo nostro tempo, per chi ha occhi e cuore puliti, è tempo di miracoli che non scendono semplicemente dal cielo ma nascono dalle menti, dai cuori e dalle mani di chi è capace di vera umanità, come i volti di questi Giusti che abbiamo posto davanti a noi come “ Fratelli e Sorelle maggiori e migliori”.
Cari amici; abbiamo il dono della Fede, ritroviamo un più intenso rapporto con Dio, ritorniamo a riflettere su ciò che conta, su ciò che vale e, con Cristo e come Cristo, a prenderci cura del prossimo che fa più fatica. Il prossimo che il Signore ci affida non è quello che noi andiamo a scegliere ma è quello che ci viene a cercare, perché ha bisogno di noi. Se crediamo che Dio ci offre la sua paternità vogliamo anche credere che ci chieda il dono della fraternità. Questo significa avere uno sguardo nuovo, un cuore nuovo sulla realtà di cui siamo parte. Allora la nostra preghiera sale fino al cielo, perché sincera.
Il nostro Paese, è quello che sappiamo, con i suoi immensi problemi di fragilità, povertà e precarietà, problemi enormi di mafiosità, corruzione e giustizia negata a troppi. Abbiamo, più o meno consapevolmente convissuto con una massa di umanità impoverita e resa orfana di diritti fondamentali. Eppure siamo un grande Paese, capace di generosità incredibili, titolari di cultura e civiltà enormi. È doveroso chiederci dove ci siamo smarriti o, addirittura, persi, al punto da non vedere?
Migliaia di esseri umani colpevoli di essere poveri, sono trattenuti prigionieri sappiamo con violenza nelle infernali carceri della Libbia e decine di migliaia di disperati in fuga dalla Siria, usati dalla Turchia come bomba umana, l’Africa si sta dissanguando delle sue energie migliori, sono poveri, sono disperati in fuga e in cerca di umane possibilità di vita, rischiando di morire affogati o torturati.
Ma i nostri occhi sembrano non vedere; per loro i nostri cuori non hanno pianto. Oggi siamo tutti più consapevoli di essere anche noi piccoli, fragili, vulnerabili, precari. Questo sistema uccide, l’indifferenza ci rende complici, dobbiamo tornare umani, dobbiamo essere veri se vogliamo dirci cristiani, il cattivismo e la retorica securitaria e un po’ razzista, non ci appartengono, dobbiamo lottare per una migliore giustizia planetaria, più giustizia, più dignità, più equità per tutti.
Guardiamoci amici, guardiamoci dal ridurre la Fede a ideologia o, peggio ancora, in idolatria. Il primo segnale che la Fede è già ideologia è il non essere più capaci di sentire compassione di fronte al dolore del mondo.
Provare compassione, saper tacere e trattenere in gola le nostre risposte certe per ascoltare le grida dell’umanità che soffre è importante, soprattutto quando le risposte ufficiali delle religioni, delle filosofie, delle culture e della politica non bastano più per rispondere alle domande difficili dei giusti e delle vittime innocenti, quando le spiegazioni del dolore e della morte non dicono una verità sufficiente.
È soprattutto in questi momenti che occorre metterci in silenzio, ascoltare con profondità d’animo l’umanità che soffre e lasciarci convertire. Se non lo facciamo, le religioni diventano idolatrie e gli idoli prendono il posto della fede. Se non lo facciamo, le culture e le filosofie diventano storie inutili e la stessa politica si fa parola vuota che invece di incoraggiare deprime.
All’umanità che soffre non basta la promessa di un Paradiso che verrà, perché nelle notti della fede, di ogni fede, si ricomincia sempre dalla speranza, reimparando a sperare, a ritornare più umani. E non ci può essere un vero umanesimo, neppure un umanesimo biblico e cristiano che rimandi tutto il riscatto delle vittime innocenti all’oltre tomba, al dopo.
Liberazione e Libertà sono il nome che vogliamo dare alla “Terra promessa”. Troppi poveri non hanno mai visto arrivare il Liberatore accanto a loro, sui loro mucchi di letame, o nel buio delle loro case, nelle notti del loro pianto, nelle catene delle loro prigionie, e attendono, e continuano a chiamare il cielo e la terra, l’umanità e il divino, perché rispondano.
Noi tutti vogliamo pregare:
Vieni Signore Gesù ad aprirci gli occhi! Vieni per loro e per noi.