Dio ricomincia da Betlemme, ricomincia da un bambino. È un Dio e Signore che non si impone, che ha bisogno di essere accolto da un abbraccio amorevole, un abbraccio di madre. Un Dio che sa di pane e, un giorno, si offrirà come pane per la vita.
Il sogno di Dio si manifesta nel Verbo che si fa carne nella piccolezza e nella fragilità di un bambino. Da allora, la vicinanza è assoluta, e c’è un frammento del Sogno di Dio in ogni carne umana, c’è qualcosa di divino in ogni persona umana, c’è in ognuno un frammento di luce e un briciolo di santità possibile. Dio, in Gesù, ci chiede di essere accolto.
Perché l’incarnazione non è finita, Dio continua a prendere carne nella concretezza di ogni nostra vita, carne benedetta o carne ferita, carne amata o carne calpestata, carne accolta o rifiutata. Tutto ciò che farete a uno solo di questi piccoli, lo avrete fatto a me. (Mt. 25, 31-46) E abita il Signore le mie parole perché abbiano luce. Abita le mie mani perché si adoperino a costruire pace, ad asciugare lacrime, a spezzare ingiustizie.
Guardo il mondo e la storia che sto vivendo e mi chiedo: “Dove sei finito, mio Dio, fatto bambino, piccolo tra i piccoli; fuggiasco in Egitto, prigioniero nei campi profughi della Libia, affogato nel mare o nelle sabbie del deserto, scampato per poco alla ferocia delle troppe guerre in atto?”
Come i Maghi d’Oriente, anche noi, cercatori di Dio, siamo chiamati ad amare l’umanità di Cristo se vogliamo giungere alla sua divinità. Giungere a Dio amando l’umanità di Gesù, ora bambino in braccio a sua madre e poi uomo sulle strade di Palestina, amico di tutti, soprattutto degli ultimi e degli esclusi, i suoi anni nascosti fatti di normalissima quotidianità e di lavoro. Se Dio, in Gesù, ha lavorato, il lavoro è una strada che ci rende divinamente creativi e dignitosamente liberatori.
Il suo farsi vicino agli esclusi e ai malati, i suoi occhi che hanno visto la nobiltà e la miseria dell’umano non solo nei piccoli ma anche nei potenti di ogni epoca, e poi gli anni del grande annuncio, delle parabole e delle guarigioni, degli abbracci e delle feste, poi la passione, il tradimento, l’abbandono e la croce. Sepolto come ogni mortale e gli amici con sua madre che sperimentano l’amarezza di un corpo assente. La Pasqua e poi il ritorno al Padre.
E la Chiesa, comunità dei discepoli che nasce da un corpo assente, è chiamata a riconoscerlo presente in tutti i calpestati della storia e dei nostri giorni. È la strada dei Maghi. Di ognuno di noi, cercatori come loro della carne di Dio, dobbiamo riconoscerlo nel volto di ogni uomo, piccolo.
È straordinario il messaggio di questa festa. Scoprire il divino, il prodigioso non nel miracolismo facile di una religiosità che non salva ma nell’operosità quotidiana di cui il Signore Gesù, il Sogno di Dio fatto carne, ci istruisce.
I cercatori trovano un bambino avvolto da un abbraccio di madre. Come ogni bambino, il Dio fatto uomo ha bisogno di un abbraccio di madre che lo faccia vivere e scoprire in Lui e attraverso di Lui quanto impoverisce una vita non accolta e adeguatamente abbracciata. Scoprire nella famiglia di Giuseppe e Maria la preziosità del vivere innamorati!
Da questo abbraccio, dai volti innamorati dei suoi genitori terreni, gli verrà sempre, oltre alla fede, la forza per vivere. Perché ogni bimbo che nasce avrà sempre tanta forza quanto ne ha l’abbraccio che lo stringe e ne custodisce l’esistenza.
Oggi, nel 2023 dell’era cristiana, il Vangelo ci annuncia una cosa grande: “Dio si manifesta ancora negli abbracci del nostro amore”. Siamo chiamati tutti a rendere possibile, ancora oggi e per tutti i giorni a venire, il farsi carne della Parola di Dio, il farsi uomo del Sogno di Dio. Questa è un’esigenza preziosa in questi tempi di cattivismo istituzionalizzato, dove troppo spesso anche i cristiani si vergognano di essere o apparire buoni e onesti. Ci aiuti il Signore Gesù, aiutiamoci tra di noi a riflettere, a capire e a scegliere di essere come il Signore nostro Padre ci vuole: figli suoi, fratelli e sorelle tra di noi.