Luca, riportandoci le parole di Gesù, ci mette in guardia da una religiosità capace di promuoverci come persone buone, persone oneste, ma che non corrisponde al nostro desiderio di felicità. Questo è pericoloso perché insinua in noi il dubbio feroce che per essere felici bisogna essere trasgressivi, come se il rapporto con Dio fosse generatore di infiniti doveri e negatore di felicità.
Questa è una maniera molto religiosa di bestemmiare il nome santo di Dio negandogli il dono della paternità, riducendolo ad un padrone da temere e obbedire piuttosto che un padre buono da cui lasciarsi amare; Gesù rivela il volto e il cuore di un Dio che non è assolutamente la somma delle nostre paure ma la risposta alle nostre attese migliori. E inizia con un afflato di consolazione per tutti noi.
“ Un padre aveva due figli “ Dio è un padre, Dio ha dei figli e non sembra neanche tanto fortunato; uno se ne va perché in casa ci sta male, l’altro rimane per ignavia e considera il padre un padrone a cui obbedire e servire. È come se Gesù volesse scrutare il cuore di ogni genitore che fa fatica e rassicurarlo dicendogli che neppure Lui riesce ad avere dei figli perfetti e che ha deciso di amare i figli che ha, di amarli così come sono, sperando di riuscire a renderli come dovrebbero e, in tanto, esercita la virtù della fedeltà e della pazienza.
Parla, il Signore, di un figlio che ritorna dopo che se ne era andato sbattendo la porta, ritorna ma non per abbracciare il Padre, torna in cerca di un padrone migliore, torna perché ricorda che la casa di suo padre profuma di pane buono per tutti, anche per i servi. Non torna per amore, torna per fame. Non è mosso dal pentimento ma dalla paura di morire.
Questo figlio ha scoperto tutta la fame di cui l’umanità è capace, ha scoperto che alla fame, soprattutto alla fame del cuore, non basta la “ roba” da mettere in pancia, ha scoperto, anche se confusamente, che la sua fame non si placa con le ghiande e le carrube , ma con gli abbracci e con lo sguardo di qualcuno che ti ama, ti considera figlio, che ti dice:” tu sei importante per me, il tuo ritorno mi rende felice, tu mi fai sentire, finalmente Padre ”!
Cari amici, stiamo attenti, perché la nostalgia del padrone è una malattia da cui nessuno è mai totalmente guarito per sempre, la stiamo vivendo anche oggi la nostalgia dell’uomo forte che risolve tutti i nostri problemi, il padrone a cui obbedire servendo è il nostro “ peccato originale ” che ci deresponsabilizza perché, in fondo siamo servi.
Dio ci vuole figli, magari limitati e difettosi come di fatto siamo, ma figli, figli che imparano la fedeltà, figli che assumono le proprie responsabilità, figli a cui sta a cuore la sorte e la salute del fratello, dove nessuno è uno scarto, nessuno appartiene agli “ altri” , perché unico è il Padre di tutti e per tutti e noi siamo chiamati, magari con tanta fatica ma anche con tanta dignità, a riscoprirci fratelli e sorelle universali.
Per questo, un giorno, siamo stati consacrati con il Battesimo, abbiamo ricevuto i doni e la forza dello Spirito Santo, per abilitarci a questa missione. Allora noi pensiamo al mondo della marginalità, al mondo del disagio, a quel mondo di solitudine e di sofferenza di tutti quelli che si sentono scartati, rifiutati, oppressi, al mondo dei fragili, e sentiamo che sono carne della nostra carne, che come noi, guardano il cielo e guardano i volti, cercano un Padre e cercano fratelli, qualcuno lassù nell’alto dei cieli e qualcuno che respiri la stessa polvere della strada, qualcuno, “ cioè ognuno di noi ”, che sia loro prossimo, che sia per loro “ famiglia, pane buono, dignità vera, speranza certa, futuro serenamente umano, vita vera”,