Se Dio esiste non può essere che il Signore e con i signori si tratta sempre bene, diceva il mio amico, tornato da poco alla casa del Padre. Mi piace la saggezza di queste persone, religiose a modo loro ma sinceramente credenti nella maniera giusta.
Se Dio è il Signore, siamo tutti fortunati, da Lui non abbiamo nulla da temere, non ci dobbiamo nascondere, dobbiamo e vogliamo lasciarci trovare perché, Gesù lo definisce “Abbà” cioè padre totalmente ed esclusivamente buono.
Eppure in noi tutti ci sono paure più o meno vistose nei suoi riguardi, paure che non nascono da Lui ma da noi. Sarebbe molto utile se usassimo questo tempo un po’ particolare tra le guerre e l’Avvento per dare un volto e un nome alle tante paure che ci abitano e che ci fanno tristi verso Dio, con noi stessi e con le persone che ci vivono accanto ogni giorno.
SILENZIO. PERDONO. LODE.
Siamo a metà del capitolo 25 di Matteo che ci ha accompagnato in queste ultime domeniche, un continuo richiamo alla sapienza del cuore e alla saggezza del vivere; il racconto dei talenti affidati ai servi mette in luce molti aspetti della vita e del vivere e mette in comune la certezza che a nessuno dei tre servitori viene chiesto di salvare il mondo, semmai di viverci con dignitosa serenità e amorevolezza. È quello che viene chiesto ad ognuno di noi!
Tutto il racconto profuma di casa, di campi, di terre arate e seminate, di germogli da custodire e far crescere e frutti da raccogliere. Il mondo e la vita ci sono affidati come un dono che deve crescere, un giardino incompiuto che deve fiorire, ricordate? “Abitate la terra e custoditela “ disse il Creatore all’inizio della storia. Avere cura del creato è il primo comandamento.
“Diede loro talenti secondo le loro capacità e poi parti per un lungo viaggio “. C’è un tempo di lunga assenza da parte di Dio che corrisponde ad un tempo di smisurata fiducia da parte Sua per ciascuno di noi. Il Signore però, non è mai assente dalla storia, il suo silenzio di Dio mette alla prova la nostra disponibilità a farci amici e custodi di tutto ciò che Lui ci ha affidato, persone, cose, esseri viventi, tutta la creazione.
Avere più talenti, avere più mansioni non è un privilegio da raccomandati, ma un metterci a servizio dei più svantaggiati un metterci alla prova. Il potere, ogni potere è accettabile solo se diventa capacità e volontà di servizio, diversamente non ha ragione di esistere. Per questo dà a ciascuno secondo le capacità. Lo sperimentiamo tutti tristemente sulla nostra pelle quando degli incapaci cercano, assumono e coprono ruoli di responsabilità.
Alla fine, ci viene chiesta ragione di ciò che abbiamo fatto o non fatto, una operosità che non si misura sulla quantità del guadagnato ma sulla qualità dell’impegno e del servizio dato, i due primi servitori sono premiati perché hanno saputo e voluto essere servitori fedeli.
Al termine della nostra vicenda terrena non ci sarà chiesto perché non siamo stati degli eroi o dei fenomeni, ma se saremo stati veramente noi stessi. Se avremo camminato e operato con fedeltà alla nostra coscienza di esseri umani e di credenti, se dopo il nostro passaggio, la terra che abbiamo calpestato l’abbiamo lasciata migliore, l’umanità che abbiamo incontrato l’abbiamo lasciata meno sola e triste e umanamente più ricca, fraterna, solidale e matura.
Gesù non sta raccontando una storiella a lieto fine, ma ci sta ponendo oggi, in questo nostro tempo, in questo nostro Paese, in questa realtà che stiamo attraversando un impegno preciso e ci chiede, questo sì ce lo chiede veramente “smetterla di giocare al servo che non sa fare di più e di meglio, a cui non compete, obbediente senza impegno. Ma, ci chiede il Signore, di accogliere l’invito a comportarci da figli e fratelli, cioè responsabili, molto più che obbedienti, fedeli, innamorati di ciò che il Signore ama”.
La parabola parla di un Dio che è veramente il Signore, non un padrone severo e duro che pensa soprattutto a riavere indietro i suoi beni prestati. Dio non vuole indietro niente da nessuno, non vuole indietro ciò che ci ha dato, neppure la vita. Vuole invece che questa vita che ci ha dato con tutti i suoi doni e le sue possibilità, noi la facciamo fiorire, la facciamo germogliare, la rendiamo più bella, più vera, più umana.
In questi giorni, preso da alcune vicende dolorose, ho detto a un amico prete come me: ”sono molto turbato per tutta questa sofferenza che bagna di lacrime e di sangue la nostra terra e la nostra storia e sono impressionato dal silenzio di Dio”. L’amico è rimasto in silenzio per un po’, alla fine mi ha detto: ”anch’io lo sono e però mi chiedo se di tutto questo posso dirmi totalmente innocente o, in qualche modo responsabile”.
Cari amici; diamo un volto alle nostre paure e scopriremo che non vengono dal Signore ma dalle nostre storie malate, da un mondo sofferente che pensa di guarire da solo magari incattivendosi verso i più fragili, dove ognuno pensa solo per sé. Dobbiamo lasciarci rigenerare come figli e fratelli tutti, tutti figli dell’unico Padre, se vogliamo veramente guarire la terra dobbiamo tornare ad attingere vita e salute dal cielo, con troppa disinvoltura abbiamo rinunciato alla paternità di Dio e siamo andati in cerca di stregoni.
È tempo di tornare a casa.