La camminata biblica comincerà alle ore 8.30 con ritrovo presso la Castellina. Canto di lode e prima meditazione. Poi la camminata fino al Canneto dove ci sarà la seconda meditazione e la conclusione. Ore 12.30 rientro a casa.
RIPARTIRE DALL’EUCARESTIA.
L’Eucarestia è l’elemento importante, indispensabile, prezioso per la vita e la crescita di ogni comunità. Allora noi cercheremo di esaminare il discorso eucaristico secondo il vangelo di Matteo. Su questa tematica si parla poco; l’Eucarestia è divenuta un elemento troppo spesso devozionale, si parla molto di adorazioni più o meno permanenti, di chi può e di chi non può riceverla, da Pane donato per la fame di chi attraversa il deserto della vita o è comunque nella lotta quotidiana per la vita, ha finito per diventare elemento di inclusione o di esclusione, ma cos’è veramente il dono eucaristico? Cosa ha voluto veramente Gesù per la sua comunità nascente? Per chi è l’Eucarestia?
Vedete, la chiesa dispone di 4 versioni differenti dei gesti e delle parole che Gesù ha compiuto durante la cena con i suoi discepoli. Ma il testo più antico non è degli evangelisti ma di Paolo nella prima lettera ai Corinzi 11, 23 – 34 che ci pone davanti ad un tema di enorme portata, testo purtroppo travisato e male utilizzato. Come sempre ci facciamo guidare da maestri esperti di sacra scrittura come Maggi, Camacho, Perez, Matheos, Castiljo, Ronchi, Tognocchi.
È importante e va capito bene che i vangeli non sono cronaca, ma sono teologia, non sono un elenco di fatti, quasi un diario della vita di Gesù, ma un insieme di verità che non riguardano tanto la storia ma la fede. Per questo gli evangelisti si ritengono liberi di cogliere le parole e i gesti di Gesù e di attualizzarli nelle situazioni e nei luoghi in cui si trovano ad agire. Questo in passato ( ancora oggi lo è per molti) era difficile da accogliere e da comprendere. Per molti e per secoli era un sacro convincimento che i vangeli fossero una specie di diario quotidiano della storia di Gesù.
Noi non abbiamo certezza assoluta neanche di un gesto che sia stato compiuto da Gesù così come ci è stato trasmesso e, anche le sue parole passano attraverso la mente, il cuore, la cultura e la santità o la fragilità umana di chi ce li ha trasmessi. Perché gli evangelisti non hanno voluto trasmetterci una cronaca, ma una teologia, cioè la verità profonda e vitale di un fatto, un gesto, una parola.
Se io ora abbraccio Egisto o la Paola, voi registrate un gesto più o meno conveniente; non siete tenuti a sapere il perché; magari scoprire che loro in questo momento sono afflitti da una durissima prova per cui quell’abbraccio, per alcuni inopportuno, per loro è di vitale importanza. Gli evangelisti o i discepoli hanno sicuramente preso le parole e i gesti di Gesù e poi li hanno strutturati secondo il messaggio e le circostanze che ci volevano trasmettere o le ferite che volevano curare, i sogni o le speranze che volevano attuare.
Questo può lasciarci perplessi ma se ci pensiamo bene è straordinariamente bello; questi discepoli hanno talmente accolto e pienamente vissuto il dono di Gesù, la sua vita, i suoi gesti e le sue parole da mettere in gioco totalmente la loro vita. Non hanno agito da soli. Lo Spirito del Risorto operava con loro e la chiesa con la sua millenaria storia, gli enormi limiti ma anche la straordinaria fedeltà è qui a testimoniarcelo. Di questo vogliamo essere riconoscenti e, abbiamo un modo solo per farlo: continuare sulla strada indicata da Gesù e percorsa dai suoi amici, con la stessa fedeltà e generosità.
Questo in passato era difficile da comprendere, si credeva che i vangeli fossero la rigorosa storia di Gesù e quando sorgevano difficoltà e differenze tra un vangelo e l’altro si cercava una strada per risolverle. La differenza è perché una volta c’era un evangelista, una volta ce n’era un altro, oppure perché Gesù ha fatto più volte le stesse cose e gli stessi discorsi. Le Beatitudini ad esempio sono 8 e vengono pronunciate su una collina e Matteo le registra. Poi le ridice in pianura e quella volta c’era Luca e ne registra 4. Marco forse non le ha mai sentite e neppure Giovanni che di fatto, non ne parlano. Ma!!!
Tutto comprensibile e normale, mica c’erano i registratori o le telecamere. Anche la preghiera del Padre nostro è diversa a seconda dell’evangelista che ce la riporta; e poi chissà quante volte Gesù l’avrà detta e, cambiare alcune parole è normale. E così per molti altri episodi, fino a quando ci si incontra con il grande problema dell’ultima cena dove, evidentemente non si può dire che l’ultima cena è stata fatta più volte; l’ultima è l’ultima ed è una sola; tutte le altre sono penultime.
Ebbene anche dell’ultima cena abbiamo 4 versioni diverse; potremmo addirittura dire 5 versioni diverse e, tutte vere e decisamente importanti pur se diversissime negli elementi che la compongono. La cena di Gesù infatti viene narrata da Matteo, Luca e Marco, è assente in Giovanni che però ne parla con altre modalità. Dalla comparazione con questi tre evangelisti e con quello che è il testo più antico che si ritiene risale agli anni 50 dell’era cristiana e la ritroviamo nella prima lettera di Paolo ai Corinzi.
Ci sono grandi assonanze tra Matteo e Marco che si rifanno alle celebrazioni eucaristiche sorte nella chiesa di Gerusalemme, mentre Luca e Paolo si rifanno alle celebrazioni sorte in terra straniera, in terra pagana, soprattutto ad Antiochia dove per la prima volta i discepoli di Gesù vengono conosciuti come cristiani. Questo è importante perché fin dall’inizio non c’era stata una forma unica per celebrare l’Eucarestia, ma ci sono varie modalità perché l’Eucarestia è legata alla vita e la vita non si può incanalare.
Quando parliamo di Eucarestia non dobbiamo pensare alle nostre messe. Se Gesù o i discepoli, i primi cristiani, partecipassero a una delle nostre messe non ci capirebbero assolutamente nulla di quello che sta avvenendo. Le nostre celebrazioni eucaristiche più sono perfette e più sono atee, atee nel senso che sembra non esserci posto per il Signore.
Nell’eucarestia la comunità sentiva Gesù vivo e presente, Gesù che parlava, insegnava, ricordava. Nelle nostre celebrazioni non c’è posto; è tutto prescritto, cosa deve dire il celebrante, cosa rispondono i fedeli, in piedi, seduti, in ginocchio, e poi il tempo che deve durare oltre il quale … ecc., ecc. Se Gesù volesse, attraverso una profezia, attraverso un insegnamento pregare o dirci una sua parola, non può farlo, non è previsto, non c’è posto.
Quindi mi pare sia necessario riscoprire la vivacità della celebrazione, sganciarsi almeno un po’ dai rituali e ridare spazio allo Spirito che parla ancora, dare spazio a Gesù che non è il grande assente ma presenza viva. Quello che Gesù ci ha voluto trasmettere nei suoi tre anni di vita terrena non è tutto nei vangeli e, si può credere che il suo messaggio di salvezza non si sia esaurito in quei tre anni ma che ancora oggi parli e abbia molto da dire alla sua chiesa, con buona pace dei teologi che hanno imposto la parola fine.
Gesù non ha niente da dirci oggi sulla fame nel mondo che è diversa da allora? Sull’industria della guerra che non è come allora? Sulle nuove forme di schiavitù e di asservimento umano, sull’invadenza della robotica e sul prolungamento della vita? Sulle nuove biotecnologie e sulla devastazione del pianeta? È Lui che non parla o siamo noi che non vogliamo o sappiamo più metterci in ascolto?
La comunità si riuniva nella celebrazione eucaristica, ricordava le parole di Gesù, ne capiva il significato e ne accoglieva di nuove; parlava Pietro ma parlava anche la Maddalena e non era proprio la stessa sensibilità ad esprimersi, parlava Giacomo e parlava Zaccheo, l’ex zelota e l’ex esattore delle tasse, il nemico giurato dei romani e il collaboratore venduto e corrotto; entrambi convertiti ma entrambi portatori di esperienze diverse che ora cercavano di trovare armonia e strade nuove da percorrere insieme ai fratelli e alle sorelle.
Oggi rischia di parlare solo il prete che legge parole scritte da altri dove, troppo spesso l’ossessione della verità rischia di cancella le esigenze della carità. Ma cos’è la verità chiese Pilato a Gesù. È la stessa domanda che il nostro tempo pone alla chiesa. I vangeli sono nati così. Quindi è importante riscoprire, oggi, il significato della celebrazione eucaristica che forse esige ben altro dal rito asettico e un po’ stanco a cui ci siamo ridotti e abituati. Occorre riscoprire la potenzialità del messaggio di Gesù ed è necessario che la comunità torni ad ascoltare, riflettere, interrogarsi sul messaggio di Gesù. È nell’Eucarestia che Gesù continua a insegnare alla comunità e se noi non lo facciamo parlare, rimaniamo senza la sua parola e la sua parola è vita.
Un esempio eclatante di come la comunità lascia parlare Gesù e ne sia ampiamente istruita, lo troviamo nel vangelo di Giovanni alla fine del capitolo 14. Siamo alla fine della cena che non viene descritta ( c’è una ragione a tutto questa non descrizione dell’ultima cena da parte di Giovanni, Giovanni scrive il suo vangelo verso l’anno 100 dell’era cristiana, la comunità dei credenti si sta strutturando e, la ritualità liturgica sta prendendo il sopravvento sulle esigenze vitali del Vangelo, la lavanda dei piedi è un richiamo forte alla fedeltà feriale ed evangelica, il FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME non è l’invito a moltiplicare le messe ma a vivere in maniera eucaristica -dono e servizio – l’insegnamento e la testimonianza del signore.
Gesù dice ai suoi:” alzatevi, andiamo via da qui 14, 33”. Poi inizia il cap. 15 con le parole:” io sono la vite e voi siete i tralci …” , un discorso lunghissimo e preziosissimo, tra i più belli e significativi di tutto il vangelo che continua con i capitoli 16 e 17 e, soltanto all’inizio del capitolo 18 c’è scritto:” e usciti andarono verso il monte degli ulivi”.
Se togliamo questi tre capitoli vediamo che la fine del capitolo 14 e l’inizio del capitolo 18 coincidono perfettamente. Alla fine del cap. 14 Gesù dice:” alzatevi, andiamo via di qui”, all’inizio del cap. 18 si dice:” detto questo uscirono e si avviarono verso il monte degli ulivi” E quei 3 capitoli? Sono nati nell’Eucarestia. Quindi è importante riscoprire l’Eucarestia perché nell’Eucarestia Gesù parla e il suo insegnamento è nutrimento che alimenta e fa vivere la comunità, altrimenti più che di fedeltà alla tradizione si deve cominciare a parlare di tradimento del messaggio evangelico.
Abbiamo allora 4 versioni della cena eucaristica più quella di Giovanni che ora andiamo a leggere e poi, prima di procedere con Matteo dobbiamo e vogliamo risolvere il problema eucaristico posta da Paolo che nella prima lettera ai Corinzi ci propone il testo più antico.
Un particolare che riguarda noi italiani, noi siamo speciali in tutto, anche nei limiti. In nessuna delle 4 versioni appare la parola sacrificio. Ma nella nostra liturgia la parola sacrificio abbonda e, nella formula eucaristica si legge:” questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”. In nessuna delle 4 versioni c’è la parola sacrificio, non c’è nel testo ufficiale della chiesa cattolica che è in latino, non c’è in nessun’altra versione al mondo, gli unici siamo noi italiani.
Perché questo? Perché al Concilio ci fu uno scontro tra l’ala progressista e i conservatori riguardo al titolo da dare al capitolo sull’Eucarestia. L’ala progressista rifacendosi ai vangeli voleva titolarla:” la Cena del Signore”, l’ala tradizionalista voleva titolarla:” il sacrificio del Signore”. Ci fu parecchia tensione, alla fine vinse l’ala innovativa e, fu scelto come titolo: la Cena del Signore”. Ma gli italiani preferirono “ il sacrificio del Signore”. Siamo gli unici al mondo.
Leggiamo ora il racconto eucaristico di Giovanni e cerchiamo di capirne il perché Gv. 14 // 18.
SECONDA PARTE
1 Cor. 11, 23 – 34. leggiamolo insieme … Questo capitolo è stato, certamente contro la volontà dello stesso Paolo, un fortissimo elemento di divisione, che di fatto ha tenuto lontano le persone dall’Eucarestia; pone in maniera forte l’essere degni o indegni di ricevere o, addirittura di partecipare all’Eucarestia, e lo è ampiamente ancora oggi. Ma vediamo cosa dice Paolo e perché lo dice: almeno cerchiamo di capirlo!
Paolo scrive:” Sento dire che quando vi riunite in assemblea vi sono divisioni tra voi”. L’Eucarestia deve essere per sua natura segno di unità e Paolo denuncia il fatto che invece vi sono divisioni.
“ Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la Cena del Signore”. Ecco il titolo più antico dell’Eucarestia è la Cena del Signore. “ Ciascuno infatti quando siede a tavola comincia a prendere il proprio pasto, così uno ha fame e l’altro è ubriaco”.
Come avveniva l’Eucarestia? I cristiani si riunivano in casa di qualcuno e portavano da mangiare, cibo e bevanda che condividevano tra di loro perché, alcuni avevano ed altri no. La maggior parte erano provenienti dalle realtà più povere, a volte erano schiavi liberati dalle catene ma non ancora affrancati dalla povertà, erano affamati di vita, di verità, di dignità ma spesso erano anche affamati di pane e nudi di vestiti. In genere lo spirito di condivisione era autentico e il clima era di vera e gioiosa fraternità.
Ma sembra che a Corinto, importante città portuale, crocevia di umanità e di miserie, le cose non andassero per niente bene; la conversione a Gesù era più faticosa del previsto, non era così autentica da indurre i nuovi credenti a condividere, oltre alla fede nel Signore, anche il pane delle loro mense e, capitava sempre più spesso che i ricchi portassero abbondanza di cibo e di bevande che ingurgitavano per se, lasciando i nulla tenenti a bocca asciutta e a stomaco vuoto. Chiaro che il clima non era proprio di profonda comunione. È sostanzialmente quelle che continua ad accadere ancora oggi tra i cristiani che sono nel mondo.
C’è una parte del mondo cristiano ricco e opulento, non necessariamente felice ma sicuramente sazio e c’è un mondo cristiano povero o impoverito, sottomesso a logiche di vita e di mercato inventate da altri cristiani, che di fatto, determinano povertà e sofferenze enormi, pensiamo al continente africano e al suo rapporto con l’Europa o al mercato americano, pensiamo al continente latino americano con le dittature del secolo scorso, pensiamo alla enorme disparità nella distribuzione dei beni della terra dove l’1% della popolazione possiede i 66% delle risorse mondiali, ecc. Evidentemente non tutti sono cristiani, ma il problema c’è ed è enormemente serio.
Paolo denuncia tutto questo e lo fa con estrema durezza:” non avete forse le vostre case per mangiare o per bere? Poi racconta la Cena del Signore:” io ho infatti ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso. Il Signore Gesù nella notte in cui veniva tradito prese un pane, e dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse : questo è il mio corpo che è per voi, fate questo in memoria di me, poi ugualmente prese il calice e … Alla fine ammonisce: “ perciò chiunque mangia o beve al calice del Signore in modo indegno sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore”.
Ora, per noi è importante capire che cosa significa mangiare il pane e bere al calice del Signore in maniera indegna. È quello che Paolo ha denunciato prima, una comunità dove non c’è unità, dove qualcuno ha troppo fino allo scialo, fino alla nausea e al disgusto e altri che mancano del necessario per vivere. Questo è mangiare in maniera indegna la cena del Signore.
E continua Paolo:” ciascuno dunque esamini sé stesso e poi mangi del pane e beva del calice, perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo mangia e beve la propria condanna”. Ora noi sappiamo da tutti gli scritti di Paolo e dagli stessi vangeli che il corpo del Signore è la comunità dei credenti. Allora, queste espressioni di Paolo, manipolate, incomprese, sono state utilizzate troppe volte per tenere lontane le persone dall’eucarestia.
Ne abbiamo fatto una questione moralistica di tipo affettivo sessuale perché, sull’abuso di potere, sulla ferocia dei regimi, sulla crudeltà delle leggi, sulla violenza e la distruzione ecologica, sui crimini consumati in nome della religione, del mercato e del profitto, non ci sono state grandi scomuniche o esclusioni. Quando si dice a delle persone: tu con la tua situazione, tu con la tua condotta, tu con il tuo comportamento non ti puoi avvicinare all’Eucarestia perché se lo fai, hai sentito, mangi e bevi la tua condanna.
Quindi, l’esortazione alla comunione è diventata un’arma di esclusione. Paolo denuncia la divisione e la profonda ingiustizia che mina e corrode la comunità e non c’è nulla di moralistico ma un richiamo solenne all’esigenza di conversione. Questo rimane per noi un problema irrisolto. La Comunità cristiano può certamente negare il Pane eucaristico a qualcuno, può certamente definire qualcuno indegno di riceverlo; ma chi?
Ve lo immaginate che tipo di chiesa vivremmo oggi se l’Eucarestia venisse negata ai corrotti, ai grandi speculatori, ai guerrafondai, ai trafficanti di armi, di droga, di rifiuti tossici, di esseri umani, di organi umani e non soltanto ai divorziati?! Certamente le cose stanno cambiando. Negli ultimi decenni, i Papi e la chiesa in genere ha preso maggiormente coscienza di alcune incongruenze dottrinali e sembra porvi rimedio. Ma c’è una lunga storia difficile da cambiare.
Tuttavia questa è una strada da percorrere con dignitoso coraggio. Il problema non è se e quanti escludere dall’Eucarestia perché ritenuti indegni! Ma come accompagnarli in un cammino di ritorno verso la piena comunione. Non si è fedeli al Signore quando si butta fuori di casa i fratelli e le sorelle che sbagliano; ma quando riusciamo a riabbracciarli al loro ritorno, quando dignitosamente ci rimettiamo alla tavola del Signore e ci lasciamo educare e nutrire dalla sua Parola, dal suo Pane, e dal suo Spirito.
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