Riprendiamo dall’ultimo incontro …. “perchè la misericordia non è altro che avere un cuore di carne che si prende cura del dolore altrui e che di fronte alla sofferenza dell’altro sa che deve intervenire e che non può rimanere indifferente …” Questo già ci fa comprendere come la novità del messaggio di Gesù, questa nuova relazione con Dio, questo nuovo rapporto con Dio è all’insegna di una misericordia che ci rende simili a lui, per assomigliare al Padre e questo è quello che ci ha chiesto Gesù.
Essere misericordiosi non richiede condizioni particolari né prerogative speciali, non bisogna avere delle virtù eroiche per avere un cuore di carne che si prende cura del dolore dell’altro. Tutti possiamo fare questo. Tutti possiamo intervenire nei confronti di una persona che sta male e per fare questa azione non ci vogliono parole, ma ci vogliono i gesti, ci vogliono la mani, le braccia, gli occhi, le orecchie, la bocca.
Non è una questione di intelletto, di parole, ma è una questione di gesti, di sensi. Per assomigliare al Padre, Gesù ce lo ha chiesto, siate misericordiosi come il Padre è misericordioso. Abbiamo Gesù come modello, lui Gesù il figlio amato, il Dio fatto carne, l’unico che ha visto e ci ha spiegato come è e come agisce Dio.
Faremo allora una piccola passeggiata nel prologo del Vangelo di Giovanni. Alla fine del prologo ( che significa: introduzione o presentazione), l’autore fa questa affermazione:” Dio nessuno mai lo ha visto, soltanto il Figlio unigenito che è nel seno del Padre è stato la migliore spiegazione”. Nessuno ci ha spiegato Dio meglio di Gesù.
Per parlare di Dio, per parlare della sua misericordia, Gesù non ha sprecato parole né adoperato concetti difficili o altamente teologici e, neppure si è affidato alla testimonianza dei padri, degli antichi maestri con le loro dottrine ma, in maniera molto semplice e immediata, quando uno dei discepoli gli dice: …” d’accordo Signore, ma a noi interessa una cosa sola, mostraci il Padre e tutto il resto ci avanza, Gesù risponde:” Filippo, ma è da tanto tempo che sono con voi e ancora non lo avete capito? Ricordati sempre di queste parole Filippo: chi vede me vede il padre”.Gv14, 8.
Quello che tu vedi in me, come io mi muovo, come io mi siedo a tavola con voi, come io mi rapporto con la gente, come io mi metto ad ascoltare, a sentire o come mi prendo cura del dolore altrui, questo è quello che fa Dio! Non c’è un’altra maniera di fare esperienza di lui. Per parlare del Padre, Gesù non ha aperto un libro di teologia e neppure un discorso sulla saggezza antica,ma ha detto che la sua persona bastava per fare un’esperienza profonda di Dio.
In questo modo non si può parlare di misericordia senza prima fare esperienza della presenza di Dio con noi, senza fare questo incontro, di poter guardare Gesù e vedere in lui l’espressione massima dell’amore del Padre perché il centro della nostra fede, del nostro credere è tutto nell’incarnazione.
Noi dovremmo sempre celebrare e riflettere su questa grande verità dell’incarnazione che è il fondamento della nostra fede.
Se noi ci caliamo all’epoca in cui sono scritti i vangeli, dire che gli uomini potessero diventare Dio non suscitava grande scalpore perché tutti i potenti e i prepotenti, tutti quelli che aspiravano a posizioni o ruoli di prestigio e grandezza, un po’ tutti si sentivano divinità o eroi; lo erano i re, gli imperatori, ecc. tutti amavano farsi divinizzare, per cui per i morti si costruivano mausolei grandiosi e templi. I potenti si sentono sempre come dio anche se sono stati dei criminali, allora come oggi.
Che uno potesse diventare Dio non era cosa strana ma che Dio potesse diventare uomo era una calunnia, una bestemmia. Paolo dirà che è una follia, che Dio nella sua massima trascendenza, nella sua realtà unica e assoluta, potesse assumere la carne umana con tutto quello che la carne umana ha di debolezza e fragilità, di essere esposta anche al dolore e alla morte, questo era impensabile.
Parlare dell’incarnazione significa riflettere su qualcosa di cui mai si era parlato o pensato prima di allora ma con qualcosa che ha a che fare con il più alto gesto di misericordia, perché se veramente Dio ha voluto diventare uno di noi per essere solidale, è per prendersi cura del nostro dolore, la nostra sofferenza. Per noi è molto importante riflettere sull’incarnazione perché è proprio lì che si gioca il nostro essere credenti e il nostro essere assomiglianti al Padre. Solo un Dio fatto uomo poteva rivelarci una cosa del genere. E finire in croce per questo!
Allora voi capite che queste parole: “ Dio nessuno mai lo ha visto, solo il Figlio ce lo ha spiegato” lasciano un po’ tutti di stucco. Giovanni in poche righe concentra tutta la sostanza del suo vangelo. Potremmo considerare il prologo come un bellissimo inno all’amore di Dio per l’umanità, l’ottimismo di Dio nei confronti dell’essere umano perché nel prologo si parla proprio di questo: della nuova relazione che attraverso Gesù si stabilisce tra Dio e l’umanità. Non siamo più schiacciati dalla divinità, Dio non è più un problema da temere, ma siamo abbracciati da questo amore paterno che abbiamo capito in Gesù e siamo al tempo stesso potenziati dal dono del suo Spirito che garantisce la crescita del nostro spirito, della nostra umanità.
Il discorso di non essere più schiacciati dalla divinità è molto importante, è molto serio perché ancora oggi si vive con la percezione di essere sempre sottomessi agli strani desideri di Dio. In ogni religione, per piacere a Dio, per rendere felice Dio siamo chiamati a sacrificare o, quanto meno, a rinunciare a tutto ciò che piace e rende felice l’umanità.
L’incarnazione viene a dimostrarci che per piacere a Dio, perché Dio sia felice di noi non dobbiamo rinunciare o sacrificare ciò che in noi vi è di più significativamente umano ma di dare la massima espressione alla nostra umanità più vera e profonda. Perché Dio si è voluto fare uno di noi, ha voluto assumere pienamente la nostra umanità e questa umanità l’ha vissuta fino al dono supremo di sé. Anche se questo per tanta gente ancora non è entrato nella propria vita. Nostro compito, dunque è divenire più umani, cioè più immagine di Gesù: diventare finalmente cristiani.
Lo so che di me vi fidate poco e allora citerò il papa. Vi piace poco anche papa Francesco e allora convertiamoci, oppure, andiamocene, prima che sia lui, il Signore Gesù ad usare la frusta come ha fatto con gli scribi e i farisei nel tempio. Comunque voglio riportarvi due paragrafi dell’Enciclica Evangelii Gaudium: dottrina della chiesa, e scoprire che la Chiesa non è poi così vecchia e sorda al soffio dello spirito e alle attese degli umani.
EG 43. Nel suo costante discernimento, la Chiesa può anche aggiungere e riconoscere consuetudini proprie non direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia, che oggi ormai non sono più interpretate allo stesso modo e il cui messaggio non è dsi solito percepito adeguatamente. Possono essere belle, però ora non rendono più lo stesso servizio in ordine alla trasmissione del Vangelo. Non abbiamo paura di rivederle.
Allo stesso modo, ci sono norme o precetti ecclesiali che possono essere stati molto efficaci in altre epoche,ma che non hanno più la stessa forza educativa come canali di vita. San Tommaso d’Aquino sottolineava che i precetti dati da Cristo e dagli Apostoli al popolo di Dio “ sono pochissimi” ( Summa Theologie,1 -11, q 107. art.4) Citando S. Agostino, notava che i precetti aggiunti dalla Chiesa posteriormente si devono esigere con moderazione “ per non appesantire la vita dei fedeli” e trasformare la nostra religione in una schiavitù, quando la misericordia di Dio ha voluto che fosse libera.
Questo avvertimento, fatto diversi secoli fa, ha una tremenda attualità. Dovrebbe essere uno dei criteri da considerare al momento di pensare una riforma della Chiesa e della sua predicazione che permetta realmente di giungere a tutti.
EG 47. La Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre. Uno dei segni concreti di questa apertura è avere dappertutto chiese dalle porte sempre aperte. Così che se qualcuno vuole seguire una mozione dello Spirito Santo e si avvicina cercando Dio, non si scontrerà con la freddezza delle porte chiuse o delle porte in faccia.
Ma ci sono altre porte che devono rimanere aperte, che mai devono essere chiuse. Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono fare parte della comunità, e nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi. Questo vale soprattutto quando si tratta di quel sacramento che è la porta: il Battesimo. L’Eucarestia sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un nutrimento per i deboli.
Queste convinzioni hanno decisamente delle conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e con audacia. Di frequente ci comportiamo come dei controllori della GRAZIA invece che essere dei facilitatori dell’incontro coni il Vangelo di Gesù. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto con ciascuno con la sua vita faticosa.
Credo che questa prima parte sia per noi un grosso motivo di riflessione.
Seconda parte
Che cos’è che ci rende così difficile avvicinarci a Dio con fiducia? È la paura! Dio ci fa paura!
Ci facciamo aiutare da padre Ermes, rielaborandolo a modo nostro, ponendoci dentro le nostre esigenze per comprendere meglio il volto e il cuore di Dio come il prologo di Giovanni ce lo annuncia e, così, ci introduciamo, perché di questo si tratta, al tempo della Quaresima come
“preludio alla primavera, preludio alla Pasqua che sta arrivando”.
NOI facciamo spesso molte domande a Dio e su Dio. Noi abbiamo il cuore sempre gonfio di perché? Le domande sono importanti, a volte anche più delle risposte perché ci costringono a guardare oltre, a non fermarci mai, a cercare sempre un oltre, a superare quello che si è sempre detto per cercare ciò che lo Spirito ancora rivela. Capire che la nostra meta non è un ritorno al passato ma pellegrinare verso il futuro; Dio è oltre i nostri sogni e i nostri pensieri.
Come sempre ci aiutano i Vangeli; scegliamo Marco 4, 35 – 41.
Perchè avete paura? Questa domanda può rispondere alla nostra più viva attualità; una domanda fresca di giornata. Sono mille i motivi dei nostri timori e delle nostre paure. C’è un libretto piccolo ma prezioso di don Angelo Casati, edito da Romena che ci parla mirabilmente delle “Paure che ci abitano”, regalatevelo per quaresima.
Abbiamo la paura del bambino, quella del malato, del povero, dell’aggredito, dell’innamorato, del morente, del perseguitato, mille motivi per avere paura e, su questo, anche Gesù ci pone le sue domande. Scoprire che il primo perché delle nostre paure risale al giardino dell’Eden.
“Adamo ed Eva udirono il rumore dei passi del Signore Dio … e si nascosero in mezzo agli alberi, perché avevano paura. Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse:” dove sei? Rispose: “ Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto” Gn 3, 8 – 10.
La paura entra nel mondo e non lo lascerà più. Entra non come figlia della nudità, come pretende Adamo, ma come figlia di un’altra madre. L’uomo si nasconde perché gli fa paura Dio.
Lo immagina dentro la logica di colpa/punizione, peccato/castigo. Neppure immagina la possibilità della misericordia. Ha paura, diventa incapace di dialogo, riesce soltanto ad aggredire per difendersi. La paura di dio è la paura delle paure. La peggiore di tutte, quella da cui le altre discendono. Ed è figlia di una mancanza di fiducia.
Il peccato originale non racconta la semplice trasgressione di un divieto, ma lo stravolgimento del volto di Dio, che il serpente induce: ci ha dato mille alberi, è vero, ma vi ha negato il meglio; ha paura di voi, è geloso,vi ha proibito la cosa più importante. Non fidatevi.
Adamo ed Eva credono a questa immagine capovolta di Dio: un Dio che toglie e non un Dio che dona; un Dio che ruba la libertà, invece che offrire possibilità; un Dio cui importa più la sua legge che non la gioia dei suoi figli; un Dio dallo sguardo giudicante, da cui fuggire anziché corrergli incontro; un Dio di cui non fidarsi.
Scrive padre Turoldo:” Sbagliarci su Dio è il peggio che ci possa capitare, perché poi ci sbagliamo su tutto, sulla storia, sull’uomo, su noi stessi, sul bene e sul male, sulla vita …”. Il primo di tutti i peccati è un peccato contro la fede ( altro che il furto di una mela!) Dall’immagine sbagliata di Dio nasce la paura delle paure. Dal volto di un Dio temibile discende il cuore impaurito di ogni Adamo.
Un giorno Dio, sempre creativo e geniale, spiazzante nelle sue proposte, rovescerà in questo modo la questione: l’uomo e la donna non si sonio fidati di Dio? Ebbene, Di si fiderà di loro, inventandosi l’incarnazione. Si fiderà a tal punto da consegnarsi nelle loro mani, piccolo, vulnerabile, bisognoso di tutto e di tutto incapace, niente di più di un bambino che vivrà solo se accolto. Dio si fida e la ragazzina dice di sì e impara a fare la madre. ( M. Marcolini)
E Giuseppe, l’uomo innamorato e ferito da dubbi, si fida e si mette a servizio di quei due, con le sue mani callose e con i suoi sogni. Il filo che rammenda lo strappo nella trama d’amore tra Dio e l’Uomo si chiama fiducia. E noi impariamo che ciò che si oppone veramente alla paura non è il coraggio, ma la FEDE. Perchè avete paura? Non avete ancora fede?
Torniamo alla nostra storia: Venuta la sera, Gesù disse loro: passiamo all’altra riva. Le barche, tutte le barche sono al sicuro se ormeggiate nel porto, ma non è per questo che sono state costruite. Sono fatte per navigare, e anche per affrontare tempeste … Non è nel segno del Vangelo rimanere immobili … il nostro posto non è nella conta dei successi o nei trionfi, ma in una barca in mare aperto, dove, prima o poi durante la navigazione della vita vengono acque agitate e venti contrari.
Vera formazione non consiste nell’insegnare le regole della navigazione, ma nel trasmettere la passione per il mare aperto, il desiderio di navigare oltre, passione di incontri e di annunci a prescindere dagli abbracci o dagli schiaffi che verranno. Mi preme qui, leggervi tre paragrafi della Evangelii Gaudium: il 78 – 79 – 80. sono importantissimi perché oltre alla paura declinano anche la viltà e la pigrizia mentale, una specie di acidiosità spirituale.
Nella breve navigazione di quella notte, Gesù si addormenta. È stanco, viene da incontri e situazioni che gli hanno tolto le forze: erano venuti sua madre e i suoi fratelli, forse per riportarselo a casa, al sicuro, nel porto degli affetti domestici. Gesù aveva riaffermato la sua distanza:” chi è mia madre, e chi sono i miei fratelli? Mc 3, 33 sono quelli che con me partono per l’altra riva.
Distacco e fatica di legami e di affetti, stanchezza del cuore. E Gesù si addormenta sfinito. E agli uomini pare di essere abbandonati, appena si alzano il vento e le onde dei tradimenti. È come se tutto il mondo fosse nella tempesta, dove la legge e il diritto sono nelle mani del più forte, del più armato, del più crudele. E Dio sembra dormire! Dov’eri Signore quando … ?
Mentre noi vorremmo che intervenisse subito, ai primi segni della fatica,al primo morso della paura, appena il dolore ci artiglia. Ma lui interviene, lui è lì, sorgente della forza dei rematori che non si arrendono, lui è nella presa robusta di chi tiene duro, lui è il coraggio condiviso, è negli occhi e nel cuore di chi scruta un’alba nuova che viene a ridare luce al mondo e alla vita, di ci rimane nella tempesta, di chi non scappa. È nella vita e nella storia di tante, tantissime persone che ogni giorno abbracciano l’infinita pazienza di ricominciare.
Dio non agisce al posto nostro, non ci toglie dalle tempeste, ma ci sostiene dentro le tempeste. Non ci esenta e neppure ci salva dalla sofferenza, non ci protegge dal dolore ma dentro il dolore. ( Dietrich Bonhoffer – Dio non ci salva dalla croce, ma nella croce). Un semplice cambiamento di posizione e tutto acquista un’altra luce. Dio non porta la soluzione dei nostri problemi, porta se stesso e, dandoci se stesso ci dà tutto ( S. Caterina da Siena).
Pensavamo che il Vangelo avrebbe risolto i problemi del mondo, o almeno che con Gesù sarebbero diminuite le violenze e le crisi della storia, invece non è così. Anzi il Vangelo ha portato con sé rifiuto, persecuzioni e nuove croci. “ sarete odiati, perseguitati, imprigionati, traditi uccisi … lo faranno addirittura in nome di Dio” Mt 24, 9 -ss. Abbiamo tanto pregato e la pace non è venuta. Questo miracolo fragile e mille volte infranto, eppure un sogno, quello della pace, di cui non ci è concesso stancarci.
Non hanno colpa i discepoli per l’improvvisa burrasca, né per la loro paura. Non c’è da colpevolizzarsi per le nostre paure; se aver paura, se la debolezza fosse una colpa, sarebbe una colpa anche pregare. Io non so perché si alzano tempeste nella vita. Non lo sanno neppure gli evangelisti che ce le descrivono; raccontano tempeste sempre uguali e tutte senza un perché.
Io come voi, vorrei che le tempeste nella vita non sorgessero mai, che il viaggio verso altre rive della vita fosse sempre tranquillo e facile, che il cammino della Chiesa fosse tracciato con chiarezza, invece ci sentiamo come un guscio di noce in mezzo al mare. Che i sentieri e le scelte del nostro vivere fosse tranquillo e invece …
Penso ad alcuni amici che hanno investito la vita intera nel lavoro, onestissimi e capaci, hanno speso tutto di loro e investito ogni cosa. Cosa c’è di più onesto e meritevole? Eppure ad un certo momento hanno perso tutto, compresi gli amici o presunti tali. Alcuni hanno continuato a lottare con tenacia e fatica. Altri hanno detto basta!
Penso a tante storie di vita affettiva, dove tanti ha dato il meglio di sé. Verso i figli, verso il coniuge, hanno creduto e amato con tutte le forze di cui erano capaci e poi, il fallimento. Qualcuno ci riprova, altri si sono persi nel disincanto e nella resa. E Dio sembra dormire, indifferente e muto.
E allora guardo i discepoli di quella notte sul lago di Galilea. Gente che intanto fa le cose giuste nella tempesta, e penso che ognuno di noi sia chiamato a fare tutto il possibile come se tutto dipendesse da noi, e poi impariamo tutti, davvero impariamo tutti a riporre fiducia in Colui che non è assente e che mai abbandona, soprattutto mai tradisce chi di lui s è fidato.
Significa questo avere fede? Ognuno cerchi in sé la risposta giusta.